ETIMOLOGIA
Il termine deriva dal latino halos, dal greco hálos, ‘aia’.
Compare nel sec. XIV col significato di ‘chiarore biancastro che appare talvolta attorno al sole e alla luna’.
In francese e spagnolo halo.
[Nocentini A., L’etimologico. Vocabolario della lingua italiana, Firenze, Le Monnier, 2010]

STORIA DELLA PAROLA - CITAZIONI
Il termine alone compare per la prima volta nella terza edizione del Vocabolario degli Accademici della Crusca (1691) con la definizione di ‘ghirlanda di lume non suo, che vedesi talvolta intorno alla Luna, o ad altro pianeta, per la refrazione
de' raggi loro nell'aria vaporosa, o altra nuvoletta sottile frapposta fra quegli, ed i nostri occhi’.

Galilei così utilizza alone nelle sue opere:

«Quali sono l'iride, l'alone, i pareli [ciascuno dei dischi luminosi che appaiono ai lati del Sole] e le riflessioni del mare». (Il Saggiatore, 1623)

«Che il Sole e la Luna si mostrassero grandi, quanto l'aurora, e gli aloni interi». (Il Saggiatore, 1623)

SIGNIFICATO SINCRONICO
Il termine può assumere varie accezioni in base all'ambito utilizzato.
In fisica si dice alone il cerchio luminoso e sfumato che appare talvolta intorno al Sole, alla Luna o ai pianeti più luminosi, per riflessione o rifrazione atmosferica.
Estendendo il significato, si può parlare di un’aureola luminosa che si forma intorno a una sorgente di luce; nel linguaggio colloquiale: l'a. dei suoi capelli biondi.
In senso figurato indica una sensazione indistinta che sembra nascere da una determinata situazione o da certe persone o luoghi particolarmente suggestivi: un a. di mistero; avvolto in un a. di gloria.
In fotografia rappresenta un eccesso di luminosità lungo i contorni di un'immagine (fotografica, televisiva, cinematografica).
[il Sabatini Coletti 2011; Zingarelli 2013]

ETIMOLOGIA
Il termine deriva dal latino canna(m), dal greco kànna, in francese canne, in portoghese cana e in spagnolo caña.
Il greco kànna è un prestito dal semitico ebraico qaneh.
Cannone compare nel sec. XIV.
[Nocentini A., L’etimologico. Vocabolario della lingua italiana, Firenze, Le Monnier, 2010]

STORIA DELLA PAROLA - CITAZIONI
Il termine cannone compare per la prima volta nella prima edizione del Vocabolario degli Accademici della Crusca (1612) con la definizione di ‘pezzo di canna di lunghezza intorno a un mezzo braccio, sopra 'l quale s'incanna seta, o lana, o simil materie’.
Anticamente, per indicare il cannone in ambito militare, ebbe anche diversi nomi di animali per distinguerne le varie specie, come Sagro, Sagretto, Falconetto, Smeriglio, Drago, Draghetto, Serpente, Draghignazo, Colubrina e simili.

Per Galileo il significato di cannone è diverso da queste due accezioni; egli utilizza infatti questo termine per indicare il cannocchiale, o più precisamente una parte dello strumento.

Nella terza edizione del Vocabolario degli Accademici della Crusca (1691) alle precedenti definizioni si aggiunge così la seguente esemplificazione:

Definiz: Cannóne, per simil.
Esempio: Tanc. 5. 4. Gli è lungo, e par degli organi un cannóne, Ha due vetri, un da capo, e un da piede, Si chiude un'occhio, e all'altro si pone, Sotto si guarda, e di sopra si vede, Fa crescer sì le cose, e le persone, Che chi mira un pulcíno, un'oca il crede (parla dell'occhiale fatto da Galiléo Galiléi nostro Accad.)

Anche nel dizionario Tommaseo Bellini ci si riferisce al cannone come parte del cannocchiale:

Per quel Tubo di metallo o d'altro che serve di custodia al cannocchiale.
«Lo spago che ci è avvolto intorno è la lunghezza del cannone, o vogliam dire la distanza che dev'essere tra vetro e vetro.» (Galileo, Op. Lett. 6. 301)

Si piglia anche pel Cannocchiale stesso.
«Perchè rivoltando il cannone, sì che rappresenti gli oggetti piccoli e lontanissimi, la medesima luna quando è corniculata di tre giorni e non più, ci apparisce rotonda e radiante. (E 272) Mentre con tedio infinito s'hanno a cercare col telescopio o cannone» (Galileo, Op. Lett. 6. 301)

[Op. Lett. = Galileo, Lettere. Formano i volumi VI e VII delle Opere dell'autore. Firenze, Società editrice fiorentina, 1842-56]

SIGNIFICATO SINCRONICO
Propriamente si riferisce a un ‘grosso pezzo di canna’, con il significato di ‘tubo’, ‘canale’, ‘doccione’ e simili.
Il termine oggi assume varie accezioni in base all’ambito in cui viene utilizzato.
In campo bellico indica un pezzo di artiglieria di calibro superiore ai 20 mm, con canna molto lunga e rigata: un colpo di c., c. sparaneve, c. per l'innevamento artificiale.
Inoltre, può essere usato con riferimento a una persona molto brava in un determinato campo, sinonimo di ‘asso’, ‘fenomeno’: è un c. in matematica.
Può anche definire un tubo di grosso diametro, ad esempio il c. della stufa.
In funzione di aggettivo denota un soggetto enormemente grasso: donna c.
[il Sabatini-Coletti 2011; Zingarelli 2013]

ETIMOLOGIA
Compasso deriva da compassare, ‘misurare a passi, misurare con precisione, con cura meticolosa’, composto di passus, ‘passo’ con il prefisso cum, ‘con’.
Il verbo, transitivo, ha origine nel XIV secolo.
Il compasso è uno strumento costituito da due aste collegate da uno snodo, una delle quali porta una punta mentre l'altra porta un mezzo scrivente, usato specialmente per tracciare circonferenze.
[Nocentini A., L’etimologico. Vocabolario della lingua italiana, Firenze, Le Monnier, 2010; DELI 1999]

STORIA DELLA PAROLA - CITAZIONI
Il termine compasso viene utilizzato nella prima edizione del Vocabolario degli Accademici della Crusca (1612 ) con la definizione di ‘strumento geometrico’.
Nella quarta edizione (1729-1738) si riporta una citazione tratta dall’opera di Galileo Galilei Le Operazioni del compasso geometrico e militare del 1606:

«Venendo alla dichiarazione particolare delle operazioni di questo nuovo compasso geometrico, e militare»

SIGNIFICATO SINCRONICO
Il compasso è uno strumento costituito da due asticelle articolate a cerniera a un’estremità, in modo da formare tra loro un angolo variabile (apertura), e variamente foggiate all’estremità opposta a seconda dei diversi usi, e cioè riportare distanze uguali, suddividere distanze e archi di circonferenza, tracciare circoli: c. a punte fisse, con entrambe le asticelle terminanti a punta; c. universale, o a punta amovibile, con una delle punte sostituibile da un portamine o da un tiralinee (o a cui possono essere applicate apposite prolunghe), per tracciare cerchi o archi di medio raggio; quando, invece, si vogliano tracciare o riportare con precisione archi o cerchi di piccolo raggio, l’apertura delle asticelle viene regolata mediante una vite micrometrica.
Il termine assume varie accezioni in base all’ambito in cui viene utilizzato:

1. Strumento costituito da due asticelle articolate tra loro per mezzo di una cerniera per disegnare circonferenze (o archi) oppure per riportare o confrontare distanze.
2. Compasso elettrico: strumento per tracciare ellissi di distanza focale voluta.
3. In marina assume il significato di bussola magnetica navale.
4. In astronomia il compasso è una piccola costellazione astrale.

[Devoto-Oli 2014; Treccani online]

ETIMOLOGIA
Il termine deriva dal latino aequilibrium, derivato dall'aggettivo aequilibris, -e, ‘livellato, perfettamente orizzontale’, composto di aequus, ‘uguale’ e libra, ‘bilanciata’; calco dal greco isostathmos che significa “di uguale peso”, composto di isos ‘uguale’ e stathmos ‘peso’.
Il termine equilibrio viene descritto come lo stato che un corpo assume quando tutte le forze applicate danno risultante e momento nulli.
[Nocentini A., L’etimologico. Vocabolario della lingua italiana, Firenze, Le Monnier, 2010; DELI 1999]

STORIA DELLA PAROLA - CITAZIONI
Il termine compare per la prima volta nella terza edizione del Vocabolario degli Accademici della Crusca (1691) con la definizione di ‘contrappesamento’.
Nella quinta edizione (1863-1923) invece troviamo ‘Stato e posizione della bilancia non gravata di pesi, o gravata di pesi eguali ne’ due piatti’, con due esempi tratti da Discorsi e dimostrazioni matematiche intorno a due nuove scienze (1638) di Galileo:

«Sono andato detraendo del contrappeso tanta arena… che la bilancia resti in equilibrio col residuo contrappeso» (3, 81)

«Per fabbricar dunque la bilancia piglisi un regolo… e dividasi nel mezzo dove si ponga il perpendicolo; poi si aggiustino le braccia che stiano in equilibrio coll’assottigliar quello che pesasse di più» (E4, 204)

Inoltre viene riportato anche l’uso del termine nell’ambito della meccanica: ‘Posizione orizzontale, detto di cosa sostenuta o fermata nel suo centro di gravità’, con due citazioni tratte dal Dialogo sopra i due massimi sistemi del mondo (1632) di Galileo:

«Stando in una barca ferma, cerchisi di porre una superficie piana in equilibrio, come v.g. uno specchio, sì che sopra di esso quieti una palla rotondissima» (E2, 380)

«Ago declinatorio, che portato intorno alla terra più e più si inclina con l’avvicinarsi al polo boreale e meno declina verso l’equinoziale verso il quale si riduce finalmente all’equilibrio» (I, 438)

Quest’ultima citazione viene riportata anche dal Tommaseo Bellini, come esemplificazione della definizione di ‘Posizione orizzontale di linee o corpi dei quali non si considera il peso’, insieme a un’altra citazione galileiana, tratta dalla medesima opera:

«La pendenza si andrà diminuendo e incamminandosi verso l'equilibrio, e l'incurvazione degli archi dei passaggi per l'opposito si andrà augumentando» (I, 378)

Il termine equilibrio viene infine utilizzato nell'opera di Galileo Galilei Discorso intorno alle cose che stanno in su l'acqua (1612):

«Due pesi di assoluta gravità eguali, posta in bilancia di braccia eguali, restano in equilibrio»

SIGNIFICATO SINCRONICO

Il termine assume varie accezioni in base all’ambito in cui viene utilizzato.
In fisica assume il significato di ‘stato di quiete di un corpo’.
Nell'ambito scientifico, l'equilibrio è uno stato fisico di un sistema nel quale non intervengono cambiamenti ( condizione di un sistema in cui i parametri restano costanti) se non per cause esterne: e. statico, dinamico, e. termico, e. biologico.
Più in generale, condizione per la quale un corpo (anche il corpo umano) sta fermo per un compensarsi delle azioni che su di esso si esercitano, o, anche muovendosi, conserva un suo determinato assetto: far stare in e. i piatti della bilancia; tenere in e. un bastone sul palmo della mano; mantenere, perdere l’e.
In aeronautica, si parla di equilibrio di un aeromobile in volo, quando è nullo il momento, rispetto al baricentro, di tutte le forze applicate, così che il volo si realizza in condizioni di regime.
In marina, e. velico, quello che si raggiunge facendo in modo che il centro di pressione delle azioni del vento sulle vele non resti né troppo a prora (che darebbe una nave eccessivamente «poggiera») né troppo a poppa (che darebbe una nave eccessivamente «orziera»).
In ambito figurato, situazione in cui nessun elemento prevale sugli altri, oppure senso della misura, capacità di valutare obiettivamente.
[Devoto-Oli 2014; Treccani online]

ETIMOLOGIA
Il termine deriva dal latino globus, ‘palla’, ‘sfera’, dalla stessa radice di gleba ‘massa, pallottola’, ‘zolla’ dal quale derivano il francese globe, lo spagnolo e il portoghese globo.
[Nocentini A., L’etimologico. Vocabolario della lingua italiana, Firenze, Le Monnier, 2010]

STORIA DELLA PAROLA - CITAZIONI
Il termine globo compare nella prima edizione del Vocabolario degli Accademici della Crusca (1612) con la definizione di ‘corpo rotondo’ e nella seconda edizione (1623) con la definizione di ‘corpo rotondo per tutti i versi’.

Nel dizionario Tommaseo Bellini viene definito come ‘corpo, i punti della cui superficie sono tutti egualmente distanti da un punto che è dentro ad esso corpo, e che si chiama centro’. Ma troviamo il termine anche nell’accezione di ‘globo terrestre’ o ‘g’lobo di Marte o d'altro pianeta che non sia la terra’.

«Il globo di Marte difficilmente si può distinguere tra la sua incapellatura.» (Galileo, Discorsi e dimostrazioni matematiche intorno a due nuove scienze, 1638)

Il termine globo viene utilizzato anche all’interno dell’opera di Galileo Galilei Dialogo sopra i due massimi sistemi del mondo (1632):

«Il globo nostro si chiamerebbe pietra in vece di terra, se tal nome gli fosse stato posto da principio...»

«Quando il globo terrestre fusse perforato, un grave descendente per tal foro passerebbe, ascendendo poi oltre al centro, per altrettanto spazio quanto fu quel della scesa...»

SIGNIFICATO SINCRONICO
Il termine assume varie accezioni in base all’ambito in cui viene utilizzato.
In fisica indica la denominazione generica di un solido sferoidale e della superficie che lo limita; indica anche la rappresentazione rimpiccolita della Terra su una superficie sferica (g. terrestre) e quella dell’immaginaria sfera celeste in cui sono segnati cerchi fondamentali, costellazioni, stelle (g. celeste).
In medicina si chiama globo oculare l’occhio, considerato nella sua interezza, ma senza i suoi annessi (muscoli oculomotori, palpebre e nervo ottico); assume inoltre un significato tecnico nel settore lampadari e simili, indicando una sfera di vetro o di cristallo che protegge la lampadina.
[il Sabatini Coletti 2011; Treccani online]

ETIMOLOGIA
Il termine infinito, aggettivo e sostantivo, viene dal latino infinitus ‘che non è finito’, derivato di finitus.
Corrisponde al greco ápeiron, composto da a-, ‘non’, e peirar, ‘limite’ o ‘fine’ il cui significato è ‘illimitato’, ‘infinito’, ‘indefinito’, quindi tutto ciò che non ha né inizio né fine.
Il termine infinito fu usato per la prima volta a partire dal XIV secolo.
[DELI 1999]

STORIA DELLA PAROLA - CITAZIONI
Nell’antichità i popoli non si erano mai interrogati a proposito del concetto di infinito. Infatti, popoli orientali come babilonesi ed egizi, non avevano l’esigenza di utilizzare questo termine in quanto non afferiva alla loro vita quotidiana.
Fu solo a partire dall’antica Grecia che il termine destò interesse tra filosofi e matematici. Si dice che Aristotele fu uno dei primi a sostenere la continuità delle grandezze geometriche insieme alla loro infinita divisibilità. In seguito, nel Medioevo, le credenze teologiche attribuirono a Dio le qualità di perfetto infinito.

Già Dante Alighieri nelle sue opere utilizza il termine come attributo di Dio, proprio per marcare la distanza tra il creatore e l’essere umano.
Nel XIX canto del Paradiso, vv43-45, troviamo:

«Non poté suo valor sì fare impresso in tutto l’universo, che ‘l suo vero non rimanesse in infinito eccesso»

E nel cap. 9 del Convivio (1304-07), egli scrive:

«Dunque la giurisdizione de la natura universale è a certo termine finita - e per consequente la parti[culare] -; e anche di costei è limitatore colui che da nulla è limitato, cioè la prima bontade, che è Dio, che solo con la infinita capacitade infinito comprende»

Galileo Galilei mise in discussione il concetto di infinito così come era stato elaborato dai filosofi greci. Egli affermò, infatti, che si potesse ridurre un continuo limitato, ad esempio un segmento, in infiniti elementi “primi” indivisibili.
Ne Il Saggiatore (1623), Galileo sottolinea che molte volte si attribuisce alla parola il seguente significato:

«Troverà la parola infinito presa, delle dieci volte le nove, in vece di grande e grandissimo» (IV, 193)

Il termine infinito appare per la prima volta nel Vocabolario degli Accademici della Crusca nel 1612, anno della sua prima edizione:

Definiz: Senza fine, che non ha fine. Lat. infinitus.
Definiz: Per innumerabile. Lat. innumerus.

Successivamente nella quinta edizione (1863-1923) lo troviamo con nuove accezioni più scientifiche.

Definiz: Riferito a spazio di tempo e a moto, vale la cui durata è indefinita, cioè senza fine
determinabile.
Esempio: Essendo il moto retto di sua natura infinito, perché infinita e indeterminata è la linea retta,
è impossibile che mobile alcuno abbia da natura principio di muoversi per linea retta.
(Galilei, Operazioni astronomiche, 1, 24)

Definiz: Aggiunto di grandezza o quantità quale che sia, vale di cui non può assegnarsi, né pensarsi
altra maggiore, fra quelle della sua specie. E dicesi anche di numero.
Esempio: La circonferenza del cerchio infinito e una linea retta sono l’istessa cosa.
(Galilei, Operazioni astronomiche, 1, 409)

[Vocabolario degli Accademici della Crusca; G. Micheli, Infinito, in Enciclopedia Einaudi, Torino, Einaudi, 1980]

SIGNIFICATO SINCRONICO
Il termine infinito assume varie accezioni in relazione ai campi in cui è utilizzato.
Nella teoria degli insiemi, un insieme si dice infinito quando non si può porre in corrispondenza biunivoca con un insieme finito, mentre può porsi in corrispondenza biunivoca con una propria parte.
In fisica si usa per indicare la posizione di oggetti, di punti dello spazio la cui distanza da enti di riferimento sia molto grande rispetto ad altre lunghezze significative.
In linguistica è una forma del verbo italiano e di tutte le lingue europee. Può essere presente o passato e in latino anche futuro, ma resta una forma indeterminata nella persona e nel numero, che esprime puramente il processo verbale astratto. Può avere anche funzione avverbiale.
In matematica l’infinito è indicato con il simbolo ∞, formatosi per deformazione delle prime due lettere del latino aequalis, ‘uguale’.
[Treccani online]

ETIMOLOGIA
Il termine deriva da ingrandire con il suffisso -mento, dal latino grandis, ‘grande’, ‘cresciuto’, ‘privo di confronti’.
Il primo uso di questo vocabolo si ha nel XVII secolo con l’accezione di ‘rapporto tra la dimensione dell'immagine di un oggetto data da uno strumento ottico e la reale dimensione dell'oggetto’ (Galilei, per lente di ingrandimento,1623).
[DELI 1999]

STORIA DELLA PAROLA - CITAZIONI
Prima della costruzione di appositi strumenti di ingrandimento realizzati da Galileo Galilei, erano pochissime le conoscenze di metodologie per ingrandire, perlopiù praticate nel nord Europa.
Solo con Galilei, infatti, e con la sua costruzione del microscopio e del cannocchiale, si hanno i primi tentativi di ingrandimento efficace. Allo scienziato fiorentino è in particolare attribuita la costruzione di due cannocchiali, termine che lo stesso Galilei preferisce a telescopi, l’uno con capacità di 14 ingrandimenti rispetto all’occhio umano, l’altro con capacità di 21 ingrandimenti.

Lo scienziato fu il primo a spiegare che l’ingrandimento può riguardare il confronto di dimensioni tra immagine e oggetto (ingrandimento lineare), oppure tra due immagini visuali ottenute in condizioni diverse (ingrandimento visuale).

«Un buon microscopio può dare un ingrandimento di oltre mille volte in larghezza» (G. Galilei, Il Saggiatore 40, 1623)

Il termine ingrandimento compare per la prima volta nella terza edizione (1691) del Vocabolario degli Accademici della Crusca con il significato di ‘ingrandire’. Nella quarta edizione (1729-1738) e nella quinta edizione (1863-1923) vengono aggiunti alcuni esempi tratti dall’opera Il Saggiatore (1623) di Galilei:

«Quando noi guardiamo verbigrazia la luna, che ricresce assaissimo, ei lavora coll'ingrandimento dell'angolo»

«Se l'ingrandimento dell'angolo, e l'union de' raggi concorron sempre nell'operazioni del telescopio»

«Riconobbe l’ingrandimento della luna e di tutti gli altri oggetti dal solo telescopio».

SIGNIFICATO SINCRONICO
Ingrandimento è utilizzato oggi in diverse discipline.
In fisica e in ottica è utilizzato per indicare la proprietà e misurare la capacità di un sistema ottico, in modo che l’oggetto osservato appaia di dimensioni maggiori. In fotografia si riferisce al processo per ottenere da un negativo una copia fotografica di dimensioni maggiori, mediante apparecchi detti ‘ingranditori’.
[Treccani online]

ETIMOLOGIA
Il termine mestruo deriva dal latino menstruum, sostantivo dell'aggettivo menstruus 'mensile', derivato di mensis,-is, 'mese'.
Come sostantivo indica la fuoriuscita di sangue che avviene mensilmente dall'utero delle donne atte a procreare.
[Nocentini A., L’etimologico. Vocabolario della lingua italiana, Firenze, Le Monnier, 2010; DELI 1999]

STORIA DELLA PAROLA - CITAZIONI
Il termine mestruo compare nella prima edizione del Vocabolario degli Accademici della Crusca (1612) con la seguente definizione:

Definiz: Purga di sangue, che ogni mese hanno le donne. Lat. menstrua, orum. I Greci le dicon καταμήνιον.

Nella terza edizione (1691) viene aggiunto:

Definiz: Per Di mese. Lat. menstruus.
Esempio: Galil. Lett. Mad. 57. La Luna, ecc. con periodo mestruo, gira la faccia sinistra, e a destra, ec.

Nella stessa accezione di ‘mensile’, troviamo nel dizionario Tommaseo Bellini la voce ‘mensuale’.
Mestruo viene utilizzato da Galileo con questo significato all’interno dell’opera Lettere copernicane (1612-1615), nella Lettera a madama Cristina di Lorena:

«La Luna, ecc. con periodo mestruo, gira la faccia sinistra, e a destra nel trapassare dall'uno all'altro tropico»

E nel Dialogo sopra i due massimi sistemi del mondo (1632):

«Non parlo di quello (movimento) quasi mestruo, che conduce le macchie, ma dico dell'altro che dêe trasferir l'asse, ed i poli di questo mestruo»

SIGNIFICATO SINCRONICO
Il termine assume svariate accezioni, anche in base in base alla categoria grammaticale:

1. sostantivo, flusso di sangue mestruale, mestruazione.
2. sostantivo, nel linguaggio alchemico, sostanza in grado di sciogliere un solido a temperatura ambiente, la cui azione si credeva influenzata dalle fasi lunari.
3. generico, solvente.
4. aggettivo, mensile, di uso poco comune. In senso letterario, significa di breve durata, effimero: seggiole, canapè, sgabelli e mense, / letti, ed ogni altro arnese, adorneranno / di lor menstrua beltà gli appartamenti (Leopardi)

[De Mauro T., GRADIT: Grande Dizionario d’Italiano dell’uso, Torino, UTET, 2000; Devoto-Oli 2014]

ETIMOLOGIA
Il termine viene dal latino momentum 'movimento, impulso, porzione di tempo, istante’, da movimentum, derivato di movere ‘muovere’.
Il latino momentum aveva già sviluppato tutti i significati che sono alla base dei suoi usi attuali, compreso quello di ‘pressione esercitata da un peso sul braccio della bilancia’, su cui si fonda il significato acquisito nella fisica a partire dal XVII secolo.
Il termine è sotto osservazione nell'italiano contemporaneo per il nuovo e diffuso significato di ‘iniziativa’ assunto nel linguaggio politico e giornalistico.
[Nocentini A., L’etimologico. Vocabolario della lingua italiana, Firenze, Le Monnier, 2010; DELI 1999]

STORIA DELLA PAROLA - CITAZIONI
Il termine momento compare nella prima edizione del Vocabolario degli Accademici della Crusca (1612) con la definizione di ‘brevissimo spazio di tempo’.
Nella seconda edizione (1623) viene aggiunta un’altra definizione, che ne sottolinea l’uso specialistico:

«Per quella forza, peso, o violenza, che acquistano i corpi gravi nel muoversi naturalmente verso il loro centro, termine di meccanica.»

Nella quarta edizione (1729-1738) si semplifica ulteriormente:

Definiz. Momento, termine di meccanica.
Esempio: «Momento è la propensione di andare al basso cagionata non tanto dalla gravità del mobile, quanto dalla disposizione, che abbiano tra di loro diversi corpi gravi». (G. Galilei, Le meccaniche o Discorso intorno alla scienza meccanica, 601).

Nel linguaggio scientifico il termine ha ricevuto significati sempre più determinati a partire dai primi usi che ne fece Galileo, che pure si rifaceva alla tradizione medievale, nella quale momentum significava minima porzione di tempo, ma anche minima quantità di peso.
In Galileo, il termine assume il significato di inclinazione al moto dei gravi, proporzionale non solo al peso ma anche alla distanza dal fulcro (nella bilancia) o alla inclinazione (nel piano inclinato); nell’analisi galileiana del moto naturalmente accelerato, esso assume il significato sia di grado istantaneo di velocità sia, talvolta, di incremento istantaneo e costante della velocità.

SIGNIFICATO SINCRONICO
Il termine momento ha attualmente diversi significati:

1. Frazione di tempo associata all'idea della breve durata o della mera episodicità: fammi felice per un momento di tempo (Leopardi).
2. L'idea di "brevità" può configurarsi in quella di "prossimità" o "urgenza" o nell'idea generica di "limitata estensione o quantità", oppure ridursi a concetto di "immediatezza o simultaneità".
3. Con valore concreto assume anche il significato di "situazioni" (la gravità del momento), "circostanza", "occasione".
4. In musica, composizione strumentale di breve durata e di tono fantasioso.
5. Nell’uso letterario, efficacia, effetto: ma con la donna non fu di momento (Ariosto), non ebbe efficacia, potere alcuno.
6. In fisica, con diverse specificazioni, indica varie grandezze, scalari o vettoriali, definite dal prodotto di una particolare grandezza per una distanza; momento di una forza rispetto a un punto, il prodotto vettoriale tra il vettore che va dal polo al punto di applicazione della forza e la forza stessa.

[Devoto-Oli 2014]

ETIMOLOGIA
La parola occhiale, aggettivo e sostantivo, è un derivato di occhio con l’aggiunta del suffisso –ale; compare nel sec. XV.
Più comune il termine occhiali, plurale sostantivato dell’aggettivo occhiale.
[Nocentini A., L’etimologico. Vocabolario della lingua italiana, Firenze, Le Monnier, 2010; DELI 1999; GRADIT 2000]

STORIA DELLA PAROLA - CITAZIONI
Il termine occhiale è riportato nella prima edizione del Vocabolario degli Accademici della Crusca (1612) con la definizione di
‘strumento di cristallo, o di vetro, che si tiene in sul naso, davanti agli occhi, per aiutar la vista’.

Dalla terza edizione (1691) si aggiunge anche la definizione ‘strumento, detto volgarmente Occhiale del Galileo’, con un esempio ripreso dalla Lettera a Paolo Falconieri intorno all’invenzione degli occhiali di Francesco Redi:

«Galileo Galilei, il quale avendo udito per fama, che da un tal Fiammingo fosse stato inventato quell'occhiale lungo, che con Greco vocabolo chiamasi Telescopio, ne lavorò un simile, colla sola dottrina delle refrazioni»

e un altro tratto dalle Lettere a Giuliano de Medici ( 1610) di Galileo:

«Ma servendosi di un’occhiale, che multiplichi più di mille volte in superficie»

SIGNIFICATO SINCRONICO
Il significato specialistico della parola occhiale al singolare oggi è rimasto soltanto come elemento compositivo in cannocchiale.
Per lo più troviamo il lemma occhiali al plurale, riferito a due cristalli o vetri incastrati in cerchietti di metallo, o di tartaruga, che si tengono sul naso davanti agli occhi per aiutare la vista difettosa.
In fisica il termine significa lente convessa o concava, di vetro o di cristallo, destinata ad aiutare l'occhio nella contemplazione
delle cose.
Quando fu inventato il telescopio, gli fu dato inizialmente il nome di occhiale, anche da Galileo, e successivamente di canna-occhiale o cannocchiale.

[Treccani online]

ETIMOLOGIA
Il termine deriva dal greco parabolé ‘sezione conica’, propriamente ‘applicazione, messa in parallelo’, derivato di paraballo ‘mettere accanto’; il termine fu usato in questo significato dal matematico Apollonio di Perga nella sua opera intitolata Coniche (III secolo a. C.).
[DELI 1999]

STORIA DELLA PAROLA - CITAZIONI
Il termine parabola compare con il significato scientifico di ‘figura prodotta da una delle sezioni del cono’ solo nella terza edizione del Vocabolario degli Accademici della Crusca (1691).
Nel Tommaseo Bellini compare con lo stesso significato e con due citazioni tratte dai Discorsi e dimostrazioni matematiche intorno a due nuove scienze (1638) e da Il Saggiatore (1623) di Galileo:

«Vedrete, allentando più o meno, la detta catenuzza incurvarsi, e adattarsi alla medesima parabola; e tale adattamento tanto più esser preciso, quanto la segnata parabola sarà men curva.» (2, 661)

SIGNIFICATO SINCRONICO
Il termine indica una curva piana, appartenente alla famiglia delle coniche, ottenuta come intersezione della superficie di un cono rotondo indefinito con un piano parallelo a una sola delle sue generatrici.
In geometria, la parabola propriamente detta, o parabola del 2° ordine, è una conica aperta, costituita da un solo ramo che si prolunga all’infinito, ed è rappresentata in coordinate cartesiane x,y dall’equazione di 2° grado.
[Treccani online]

ETIMOLOGIA
Il termine rifrazione/refrazione deriva dal latino refringere, da re-, 'di nuovo' e frangere, 'spezzare'.
Il verbo rifrangere, che può essere sia transitivo che intransitivo, significa ‘frangere,spezzare di nuovo’; è già usato da Dante o comunque prima del 1321.
In fisica è il fenomeno per cui un raggio incidente, passando da un mezzo a un altro di diversa densità e proprietà ottiche, varia, secondo certe leggi, la direzione di propagazione.
Il termine rifrazione viene impiegato da Galilei prima del 1642; la variante refrazione è invece del XIV secolo.
[Nocentini A., L’etimologico. Vocabolario della lingua italiana, Firenze, Le Monnier, 2010; DELI 1999]

STORIA DELLA PAROLA - CITAZIONI
Il termine refrazione compare nella prima edizione del Vocabolario degli Accademici della Crusca (1612) con la definizione di ‘interrompimento’.
Nella terza edizione si aggiunge anche la variante rifrazione e la definizione cambia in ‘il refrangersi’.
Nel dizionario Tommaseo Bellini compare solo la voce refrazione, definita ‘l'atto per cui un fascio di luce, passando da un mezzo in un altro, s'inflette in modo che la direzione, ch'esso ha nel secondo mezzo, non è la stessa che quella che aveva nel primo’ con le seguenti citazioni tratte da Il Saggiatore (1623) di Galileo:

«L'aurora, ch'è una refrazione dei raggi solari nella region vaporosa» (344)

«Sicchè facendo altre ed altre refrazioni, dal composto finalmente di tutte ne risulti una total refrazione distesa, non direttamente, ma in arco» (E 355)

«Quando per l'obbliquità della sfera non si fa più la refrazion della nostra vista al sole, non si vede più la chioma (della cometa).» (290)

«Si fanno gli angoli della riflessione e della refrazione, che a tale effetto si ricercano, come accade negli specchi,nelle acque e nelle palle di cristallo» (247)

SIGNIFICATO SINCRONICO
Il termine indica il fenomeno ottico (detto anche rifrazione ordinaria o semplice) consistente nella deviazione che i raggi luminosi generalmente subiscono nel passare dall’uno all’altro di due mezzi trasparenti diversi, per es., dall’aria all’acqua.
Sempre nell’ambito dell’ottica geometrica, si chiama genericamente rifrazione anche il fenomeno per cui raggi luminosi percorrono traiettorie curve, anziché rettilinee, propagandosi in un mezzo omogeneo quanto alla natura ma non omogeneo quanto alle caratteristiche ottiche.
In fisica è il fenomeno che si verifica insieme alla riflessione, quando un fascio di radiazioni elettromagnetiche (specialmente luminose) incide sulla superficie di separazione tra due mezzi trasparenti e una parte di esso lo attraversa e viene trasmessa nel secondo mezzo dove forma con la normale superficie un angolo diverso da quello dell'incidenza.
Esistono varie tipologie di rifrazioni:

• Rifrazione atmosferica: l'incurvamento che i raggi luminosi subiscono nell'atmosfera terrestre a causa delle variazioni di temperatura e pressione nelle varie zone.
• Rifrazione elettrica: fenomeno che consiste nella brusca deviazione subìta dalle linee di un campo elettrico in corrispondenza della superficie di separazione tra due dielettrici di natura diversa;
• Rifrazione magnetica: deviazione subìta dalle linee di un campo magnetico in corrispondenza della superficie di separazione tra due mezzi magneticamente diversi.

[Devoto-Oli 2014; Treccani online]

ETIMOLOGIA
Dal latino tympanu(m) ‘tamburo’, dal greco tympanon, che gli antichi accostavano al verbo typtein ‘battere’, appoggiati anche dalla variante typanon, ma che forse è, invece, di origine semitica.
Il significato anatomico è moderno e risale al XVI secolo. Il nome del timpano anatomico è dovuto alla sua forma lenticolare e indica la membrana che chiude il condotto uditivo esterno.
[Nocentini A., L’etimologico. Vocabolario della lingua italiana, Firenze, Le Monnier, 2010; DELI 1999]

STORIA DELLA PAROLA - CITAZIONI
Il termine timpano compare solo nella quarta edizione (1729-1738) del Vocabolario degli Accademici della Crusca con varie definizioni, tra cui quella di ‘timpano dell'orecchio, è una membrana interiore del medesimo, strumento principale dell'udito’.

Anche nel dizionario Tommaseo Bellini troviamo l’accezione anatomica ‘cavità irregolare, scavata nella base della porzione petrosa dell'osso temporale tra il condotto auricolare ed il labirinto; ed è strumento principale dell'udito’.

Il termine timpano viene utilizzato all’interno di alcune opere di Galileo Galilei con questa accezione:

«I suoni allora son fatti ec. quando un frequente tremor dell'aria ec. muove certa cartilagine di
certo timpano, che è nel nostro orecchio». (Il saggiatore, 1623)

«Consonanti ec. saranno quelle coppie di suoni, che verranno a percuotere con qualche ordine
sopra il timpano». (Discorsi e dimostrazioni matematiche intorno a due nuove scienze, 1638)

SIGNIFICATO SINCRONICO
Il termine assume svariate accezioni in base all'ambito in cui viene utilizzato.
In anatomia umana è la membrana che trasmette le vibrazioni sonore alle ossa dell’orecchio medio, detta anche membrana del timpano o timpanica, presente nell’organo acustico di tutti i vertebrati terrestri.
Nei mammiferi è sostenuta da un osso circolare, e trasmette le vibrazioni ai tre ossicini dell’orecchio medio (staffa, incudine e martello); negli anfibi, rettili e uccelli, è collegata a un unico ossicino, la columella; negli insetti, è sinonimo di organo timpanale.
In musica, indica lo strumento a percussione costituito da una cassa di risonanza, solitamente in rame, chiusa da una membrana che viene percossa da mazzuoli a testa sferica in feltro, cuoio, sughero o altro materiale. I suoni prodotti sono ad altezza determinata, di estensione però sempre limitata a un ambito medio-grave.
In architettura, è la superficie racchiusa entro la cornice del frontone. Sebbene il termine sia spesso usato in luogo di frontone, quest’ultimo, costituito dalla struttura triangolare delimitata dagli spioventi del tetto e dalla sottostante trabeazione, costituisce il complesso strutturale definito nell’architettura classica soprattutto templare, mentre il timpano ne indica lo spazio interno, eventualmente con la relativa decorazione.
In ingegneria indica, nei ponti ad arco, la struttura che sormonta l'estradosso dell'arco su ognuna delle due fronti del ponte.
[De Mauro T., GRADIT: Grande Dizionario d’Italiano dell’uso, Torino, UTET, 2000; Treccani online]

ETIMOLOGIA
La parola vibrazione compare nella prima metà del XVII sec.
Viene dal lat. tardo vibratio-onis, derivato di vibrare, ‘agitare, scuotere, scagliare, tremolare, palpitare, scintillare, balenare’. Il termine latino vibrare si confronta con il sanscrito vepate, ‘agitarsi, tremare’, e con l'antico nordico veifa, ‘oscillare, vibrare’ (svedese veva, ‘avvolgere’).
[Nocentini A., L’etimologico. Vocabolario della lingua italiana, Firenze, Le Monnier, 2010; DELI 1999]

STORIA DELLA PAROLA - CITAZIONI
Il termine compare nella terza edizione (1691) del Vocabolario degli Accademici della Crusca con la definizione
‘Il vibrare, ed il moto di cosa vibrata’.


Nella quarta edizione (1729-1738) vengono aggiunte altre due definizioni:

‘Vibrazione de' pendoli, dicesi il Moto reciproco de' corpi gravi, pendenti da corde, fili, e simili, che nell'andare, e venire di quà, e di là del perpendicolo, formano archi di cerchio sempre minori, fino a ridursi alla quiete’.

‘Vibrazioni delle corde tese, e particolarmente delle sonore, dicendosi i Movimenti loro, simili a quelli de' pendoli, ancorchè più veloci, e di minor durata’.

Entrambe sono affiancate da esempi tratti dalle opere di Galileo.
Nella terminologia galileiana, infatti, il termine vibrazione viene interpretato in due modi diversi: uno descrive il moto di un corpo oscillante, il cosiddetto pendolo:

«Ciaschedun pendolo ha il tempo delle sue vibrazioni talmente limitato e prefisso,
che impossibile cosa è il farlo muovere sotto altro periodo che l'unico suo naturale»
(Discorsi e dimostrazioni matematiche intorno a due nuove scienze, 1638)

«Ho talvolta creduto, che l'arco ascendente sia eguale al descendente, e però dubitato,
che le sue vibrazioni potessero perpetuarsi»
(Dialogo sopra i due massimi sistemi del mondo, 1632)

L' altro è usato per indicare il movimento ad alta frequenza delle corde che producono suoni:

«Il numerare le vibrazioni d'una corda, che nel render la voce le fa frequentissime,
è del tutto impossibile»
(Discorsi e dimostrazioni matematiche intorno a due nuove scienze, 1638)

SIGNIFICATO SINCRONICO
Il termine viene oggi usato con diverse accezioni. Viene genericamente definito come ‘movimento oscillatorio di breve ampiezza e di alta frequenza’: v. sismiche; le v. di una parete; v. di un ponte al passaggio del treno; v. sonore; le v. del diapason, di una lamina metallica.
In senso figurato, si intende anche il fremito prodotto nella voce umana da un'emozione (una v. di sdegno, di passione).
In fisioterapia, pratica terapeutica onsistente nell'imprimere a mano o con apparecchi azionati da corrente elettrica una serie di piccole scosse con frequenza più o meno elevata a seconda dell'effetto sedativo o eccitante che si vuol produrre.
Nei lavori edilizî e stradali, v. del calcestruzzo, sistema adottato per far assestare il calcestruzzo nelle casseforme.
[De Mauro T., GRADIT: Grande Dizionario d’Italiano dell’uso, Torino, UTET, 2000; Treccani online]