Ma non si dovrebbe insegnare anche la lingua italiana?

Pubblichiamo il documento sottoscritto unitariamente dai membri del Direttivo dell'ASLI e della Giunta dell'ASLI Scuola (e inviato al MIUR), dopo aver preso visione delle prove del concorso a cattedre di materie letterarie (ex-classi di concorso A043 e A050) dello scorso 2 maggio e aver rilevato la totale mancanza di quesiti sulla lingua italiana.

Concordiamo con la presidente dell’ASLI Rita Librandi che «la totale assenza di quesiti linguistici in una prova sovraccarica di domande (tutte di natura letteraria)» costituisca un fatto particolarmente grave, considerato che «assieme ad altre associazioni accademico-scientifiche, l'ASLI ha sostenuto negli ultimi anni una necessaria correzione di rotta nella formazione dei docenti di scuola».

Auspichiamo che gli insegnanti intervengano nel dibattito, al fine di avviare una serie di contatti diretti con le strutture ministeriali preposte alla formazione degli insegnanti.


Nella nostra veste di membri del Direttivo dell’ASLI e di componenti della Giunta dell’ASLI Scuola deploriamo la totale assenza di quesiti riguardanti la lingua italiana nelle recenti prove di concorso per l’insegnamento di discipline letterarie nelle scuole secondarie di primo e secondo grado.

Non intendiamo soffermarci su altri aspetti, sia pure discutibili, delle prove, come l’esiguità del tempo concesso ai candidati per quesiti a risposta aperta che avrebbero richiesto riflessione e ampia argomentazione, ma sottolineiamo il dato palesemente più grave. È vero che di recente il Ministero ha opportunamente istituito una nuova classe di concorso per l’insegnamento dell’italiano a stranieri, indicando formazione e competenze specifiche ai docenti che vogliano acquisire l’abilitazione nella stessa classe. Ciò non può far dimenticare, tuttavia, l’insegnamento dell’italiano agli italiani. Ci chiediamo a che valga denunciare ogni anno gli scarsi risultati dei nostri studenti nelle prove OCSE-PISA relative alla lingua materna se poi si trascura di verificare l’adeguata preparazione degli insegnanti in materia di lingua italiana e di educazione linguistica.

Ci si è preoccupati di inserire tra le prove di coloro che sono destinati a insegnare discipline letterarie quesiti volti a verificare la conoscenza delle lingue straniere, ma ci si è dimenticati di valutarne la capacità di riflettere e far riflettere sulla propria lingua, di riconoscere e far riconoscere agli studenti le sue strutture, di modulare e insegnare a modulare varietà e registri in rapporto alle diverse situazioni comunicative. Non mettiamo in dubbio quanto importante sia oggi la conoscenza delle lingue straniere, ma chi sarebbe oggi in grado di negare che una salda conoscenza dell’idioma materno è il requisito cognitivo fondamentale per l’apprendimento di ogni altra lingua?

Ci si potrà rispondere che le prove contenevano quesiti su importanti testi letterari, la cui analisi, in vista della preparazione di un’unità didattica, certamente non esclude l’esame linguistico. Tutto è stato però lasciato alla scelta autonoma del candidato, che avrebbe dunque potuto anche prescindere dalla lingua dei testi. Il vero problema, tuttavia, non è il modo di analizzare i testi letterari, bensì la confusione che ancora oggi si fa, non solo a scuola, tra insegnamento e apprendimento della lingua e insegnamento e apprendimento della letteratura. Per un’abitudine antica, ancor oggi viva tra insegnanti e studenti, nelle aule scolastiche si indica con Italiano tutto ciò che si riferisce sia alla lingua sia alla letteratura, nonostante che nella pratica prevalgano nettamente lo spazio e l’attenzione assegnati alla letteratura, dando spesso per acquisita, soprattutto nelle scuole superiori, la conoscenza della lingua. In molte università italiane si pratica da decenni un’analisi del testo (letterario e non) che, lungi dall’esaurirsi in esercizi di stile autoreferenziali, punta a fornire, attraverso una riflessione fondata sulla linguistica testuale e sulla storia della lingua, strumenti concettuali e metodologici per una lettura interpretativa consapevole. Le ultime prove concorsuali, ignorando gli aspetti linguistici del testo, vanificano un importante e difficile percorso formativo, che appassiona e promuove la crescita culturale e intellettuale dei futuri insegnanti. Da una parte dunque si afferma l’insostituibile valenza della prospettiva linguistica nel curricolo formativo, dall’altra la si nega di fatto nella più importante prova di accesso alla professione dei futuri docenti, innescando rischiose contraddizioni nella coscienza e nella cultura di studenti e insegnanti.

Comprendere testi, parlare e scrivere nella propria lingua, superando i livelli elementari della comunicazione, è condizione indispensabile per la formazione di un cittadino cosciente del suo ruolo e preparato ad affrontare ogni ostacolo nel lavoro e nella società. Come può la scuola dimenticare questo obiettivo, trascurando di verificare quanto i futuri insegnanti siano preparati ad affrontare questo compito?

Ci accorgiamo, tra l’altro, che sempre più spesso l’attenzione dedicata dai media alla lingua italiana assume toni folkloristici, finalizzati a suscitare nient’altro che sorrisi o polemiche irrisorie su effimeri neologismi come petaloso o sui modi di scrivere in rete e nei messaggi dei telefonini. Affrontare il problema della lingua non vuol dire compilare prontuari di “giusto e sbagliato”, assecondare le ubbie di attardati puristi o inneggiare a un insegnamento in inglese della storia dell’arte italiana; significa, al contrario, riconoscere con serietà che è dovere di ogni Paese che intenda rimanere competitivo in Europa e nel mondo assicurare ai propri giovani una competenza piena e consapevole della lingua materna. Ci aspetteremmo che i primi a pensarci, verificando quanto gli insegnanti siano preparati ad affrontare tale compito, fossero proprio le istituzioni a ciò deputate. E invece avviene puntualmente il contrario.


7 maggio 2016
Il direttivo dell’ASLI
La Giunta dell’ASLI Scuola



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